martedì 30 marzo 2010

La Radio


Amo la radio perchè arriva dalla gente
entra nelle case
e ci parla direttamente
e se una radio è libera
ma libera veramente
mi piace ancor di più
perché libera la mente.

Con la radio si può scrivere
leggere o cucinare.
Non c'è da stare immobili
seduti lì a guardare.
E forse è proprio questo
che me la fa preferire:
è che con la radio non si smette di pensare.

(Eugenio Finardi - da La Radio, 1976)

lunedì 29 marzo 2010

Radio Libera


Fino al 1976 in Italia non esistevano emittenti radio in alternativa alla RAI. Per una volta tanto non era una singolarità nostra: il recente film I Love Radio Rock racconta proprio la storia di Radio Caroline, una emittente “pirata” che per trasmettere sul suolo britannico (la patria del liberalismo) doveva farlo da una nave fuori dalle acque territoriali.
Quando le stazioni radio furono liberate dalla Corte Costituzionale nacquero come funghi migliaia di emittenti in ogni città e in ogni paese, con ai microfoni ogni sorta di entusiasti disk jockey, come è raccontato in un altro film, Radio Freccia. Le radio allora non si chiamavano ancora "private" ma Radio Libere e questo sottolinea bene la portata di quella che fu vissuta come una vera rivoluzione specialmente dagli amanti della musica rock (che poi allora erano tutti quanti i giovani). Eugenio Finardi, quando era qualcuno dedicò una bella canzone alle radio libere… “amo la radio perché arriva dalla gente, entra nelle case e ci parla direttamente, se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più perché libera la mente…”

Posso dire: io c’ero. Nel 1976 avevo 18 anni, già una certa collezione di dischi d’importazione e diversi viaggi in Inghilterra alle spalle: un curriculum perfetto per condurre un programma ad una radio libera. Ricordo uno studio splendido (l’unico bello studio che avrei visto in una stazione radio) nell’attico di un hotel ai bordi della città. Mettevo i dischi e parlavo al microfono guardando dalla finestra le auto correre sulla strada. L’impressione era di parlare proprio alle persone su quelle auto. Usai diverse sigle musicali, le ricordo tutte: Hallogallo dei Neu! (per un programma che chiamavo infatti Hallogallo), Dizzy Lizzy dei Can, Expresso dei Gong, più tardi In Shades di Tom Waits e Green Onions dei Booker T & MGs.
Poi le radio divennero “private” e la cosa smise di essere bella e divertente.
Vivendo alla periferia dell’impero non ebbi mai l’opportunità di condurre un programma radio vero e serio, tipo Rai Stereonotte, ma presi l’abitudine di preparare cassette a tema agli amici come si trattasse di una trasmissione radio che chiamavo Classic Radio One, con sigle come Birdland o Grateful Dawg.

Magari per gioco in qualche post futuro di questo blog mi inventerò qualche scaletta per una trasmissione notturna: “Ore 21:30, buonasera a tutti, qui è Blue Bottazzi ai microfoni di Classic Radio One, per una serata di sana e solida musica rock…”

da Blue Bottazzi BEAT, gennaio 2010